Non so quanti di voi conoscono l’azienda ClearView AI, ma quando sentite in giro che la polizia ha utilizzato machine learning o software di riconoscimento facciale per trovare qualcuno in USA beh sicuramente ci sono loro dietro.
Diversi mesi fa ho letto questo articolo di Wired Italia e ho deciso di fare la richiesta delle mie foto per vedere cosa saltava fuori.
Ho fatto la richiesta il 23/03:
TI mandano un pdf che include la foto che gli hai mandato e le foto che hanno su di te con i link alle pagine dove le hanno trovate:
Naturalmente quando si pubblica una foto di qualunque tipo non è che si verificano i servizi e condizioni oltre al fatto che quando si scarica una foto non c’è scritto niente che ti dice come la devi usare.
Il problema è questo una volta che è su internet non se ne esce più e non potrai sapere come verrà utilizzata. Questo è un chiaro caso di un utilizzo non previsto nel caricamento di foto.
Certo è che nel pdf ci sono solo 14 foto e sono tutte di quando ho i baffi, cosa che ho oramai da 9 anni mi pare quindi avrei dovuto mandar loro anche delle foto di quando ero più giovane per vedere cosa saltava fuori.
Come ogni cosa non è lo strumento, in questo caso la condivisione della foto, il problema ma è l’uso che se ne fa. Quindi bisogna essere consapevoli di quello che si fa come quando si cammina per strada o si sgasa con la macchina.
Naturalmente la mia richiesta come da screenshot comporta la cancellazione della mia persona dal loro database basandosi su queste foto è solo per accedere alle mie foto.
Sicuramente ci sono notizie più fresche come quella di qualche settimana fa in cui la polizia italiana sta valutando/usando il servizio di questa azienda per le use attività legittime. Se le attività della polizia sono legittime visto il servizio che fa per me il problema è come le foto sono state raccolte e utilizzate senza informare la persona stessa.
Non c’è la privacy ad esempio? Naturalmente la GDPR non riguarda le foto ma essere informati è la prima parte di quello che dovrebbe avvenire su internet.
Ci vediamo alla prossima sul mio podcast dove ne parlerò forse un po di più.
PS: non ho altro da aggiungere perché l’articolo di Wired approfondisce la questione.